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Seminario e convegno del Cica. La relazione introduttiva di Giovanni Gaiera

Il Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone con HIV/AIDS (CICA) ha organizzato – tra Brindisi e Bari – un seminario (il 19 e 20 ottobre) e un convegno (il 21 ottobre) dal titolo “Accompagnare il futuro. La progettazione individualizzata: tra risorse e criticita”.

Qui sotto la relazione introduttiva al convegno.

SALUTI E INTRODUZIONE AL CONVEGNO

GIOVANNI GAIERA, PRESIDENTE CICA

Benvenuti e grazie per la partecipazione.

Ringraziamo per l’ospitalità sia la Fondazione “Opera Santi Cosma e Damiano” che le Figlie della Carità, che ci hanno ospitato per il seminario ieri e l’altro ieri nello splendido e pacificante Trullo dell’Immacolata di Selva di Fasano.

Abbiamo fortemente voluto tenere questo nostro seminario al Sud: è questa la volta, dopo Palermo di tanti anni fa, che ci spostiamo più a Sud in una regione che ha una sola CA da 2 anni aderente al nostro coordinamento

2 parole sul CICA per chi non ci conosce:

– il Coordinamento Italiano Case Alloggio per persone con HIV/AIDS (CICA) nasce nel ’94 dalla volontà di operatori e responsabili di alcune delle Case Alloggio di allora di creare un luogo di incontro, confronto e pressione politica riguardo all’esperienza particolare che stavano/stavamo facendo nelle nostre case

– a Sasso Marconi (BO) viene nell’autunno ’94 scritta la carta di riferimento del nostro Coordinamento, la Carta di Sasso Marconi. Ci siamo ritornati lo scorso novembre, proprio nello stesso posto, per interrogarci sull’attualità e sulle nuove sfide a cui il nostro coordinamento è chiamato in un contesto come quello attuale molto diverso: tanto il contesto sociale, culturale e politico, tanto il contesto della stessa infezione da HIV, che da allora è molto cambiata nella sua evoluzione e in tante sue implicazioni

– siamo attualmente un coordinamento di più di 50 Case, che chiamiamo con sfumature diverse Case Alloggio o Case Famiglia: piccole realtà in cui in una dimensione di “casa” accogliamo al massimo 10-12 ospiti con infezione da HIV e AIDS, che hanno perso le risorse per continuare a vivere da soli, perchè colpiti da patologie invalidanti che ne hanno minato l’autonomia piuttosto perchè socialmente isolati, senza casa, mezzi di sussistenza e spesso con condanne da scontare; i più poveri tra le tante persone (sono ormai alcune decine di migliaia) che attualmente vivono o faticano a vivere in Italia con l’infezione da HIV e l’AIDS

– siamo presenti in quasi tutto il territorio nazionale, tranne che in Basilicata e Molise, con un maggior numero di Case al Nord, specie in Lombardia, dove c’è stata la massima diffusione in Italia dell’infezione da HIV; nel Sud sono poche le Case presenti e ancor meno quelle che aderiscono al nostro coordinamento (5 in totale tra Campania, Calabria e Puglia) a fronte di bisogni molto più grandi, come avviene anche in Lazio, seconda regione in Italia per numero di casi AIDS notificati, dove ci sono solo 7 Case che rispondono a meno di ¼ delle richieste di accoglienza

– siamo uno dei pochi esempi concreti di quella “elevata integrazione socio-sanitaria, che abbiamo sentito declamare da molti addetti ai lavori e trovato scritto in leggi, delibere, piani di intervento e progetti nazionali e regionali.

La progettazione individualizzata è stato il tema che abbiamo scelto questo anno per il nostro appuntamento annuale di formazione: è stato uno dei temi più richiesti nel questionario sui bisogni formativi che abbiamo fatto girare tra le Case nel febbraio scorso.

Perchè è un tema tra i più “caldi” con cui ogni giorno abbiano a che fare nelle nostre Case: rappresenta infatti una delle sfide e delle responsabilità più complesse che ci troviamo ad affrontare. Una sfida per tutti: responsabili, operatori, ospiti delle Case e operatori dei Servizi del territorio.

Tanta è infatti la complessità delle storie che stiamo accompagnando: segnata da tante fatiche fisiche, psichiche, sociali e culturali, che in vario grado e in vario modo attraversano e si ingranano nella storia delle singole persone che accogliamo.

Ancor più complessa in questo lungo periodo di crisi sociale e culturale, di cui non scorgiamo assolutamente la fine: crisi del legame sociale, delle reti di supporto, delle risorse disponibili. Crisi di presente e di futuro.

Ci siamo dunque ritrovati in Seminario ieri e l’altro ieri e oggi in questo Convegno aperto al territorio che ci ospita, per raccogliere questa sfida.

Durante il Seminario, molto intenso, vissuto nella splendida cornice di Selva di Fasano, di fronte al mare, stimolati dagli interventi “densi” di 2 figli di questa terra, Felice Di Lernia antropologo e Amalia Tata psicologa, ci siamo confrontati sulle nostre esperienze di progettazione individualizzata con gli ospiti delle nostre Case, con particolare riferimento alle risorse e difficoltà che incontriamo nel progettare nelle nostre pratiche di cura insieme a chi vive con forti disabilità fisiche, piuttosto che presenta una demenza più o meno avanzata e/o una grave sofferenza mentale, o possiede ancora qualche autonomia a rischio continuo di regressione.

Siamo cresciuti nella consapevolezza del rischio, insito nel nostro modo di pensare, tanto della linearità che della eterodirezione del nostro tradizionale progettare; abbiamo rivalutato il fattore tempo, l’importanza del frammento, la necessità di portare maggiore attenzione verso la dimensione del piacere oltre che del dovere dei nostri ospiti, la sfida di stare nell’attesa e abitare le domande più che cercare a tutti i costi risposte, la centralità di una relazione che non vuole sostituirsi a pensare per l’altro/a che accogliamo

a) Riguardo al progettare insieme ad ogni nostro ospite che vive una più o meno forte disabilità fisica, che sia allettato o in carrozzina o in altro modo limitato nella sua dimensione corporea, abbiamo approfondito che dobbiamo entrare anche noi operatori in un “tempo lento”, lavorare sempre “con” le persone e mai “per” loro, anche dove le capacità residue sembrano inesistenti; l’ascolto, il rispetto e la promozione della loro “soggettività”, delle loro sempre presente progettualità, dei loro sogni e dei loro bisogni, l’importanza spesso maggiore dei gesti rispetto alle parole; la flessibilità, la creatività e la fantasia da tenere sempre stimolate, l’importanza delle reti esterne, di uscire dalle nostre case, le “trasfusioni di vita” che riceviamo da chi è bloccato su un letto o una carrozzina, l’esperienza del limite che ci sbatte in faccia il nostro limite; l’inventare ogni giorno un modo nuovo e diverso di fare sanità, pratiche di cura, resistendo all’invasione delle nostre Case da parte della sanità delle prestazioni e delle procedure.

b) Confrontandoci sulla progettualità possibile con ogni nostro ospite indementito o gravato da forte sofferenza psichica, abbiamo approfondito l’importanza dell’ascolto e della comprensione dei linguaggi con cui sono espressi i bisogni, la grande flessibilità dell’approccio, la progettualità inevitabilmente (e fortunatamente) “non lineare”, ma soggetta a frequenti avanti e indietro; la necessità di alcune competenze non sempre presenti – lo psichiatra e il fisioterapista quando non anche il fisiatra – , perchè non sempre basta l’intuito e il buon senso, la risorsa dei laboratori interni, il lavoro sulla corporeità a partire dall’igiene personale, l’importanza dell’aspetto relazionale per cui gli operatori diventano dei riferimenti importanti per gli ospiti specie da un punto di vista emotivo, la centralità e la risorsa del gruppo, la pazienza e il “tatto”, il rispetto delle differenze culturali, l’importanza data alla sfera dell’affettività e della sessualità come componente essenziale della quotidianità.

c) Riguardo infine alla progettualità possibile con chi ospitiamo e presenta ancora parziali autonomie, abbiamo approfondito cosa intendiamo per autonomia, il suo rapporto non necessariamente obbligato con il reinserimento, il suo non essere parametrabile ma il suo essere costituita da un continuuum di differenti livelli; il rischio che la nostra progettualità non sia aderente alla realtà dell’ospite, imponga nostri modelli e non accetti la soggettività dell’ospite e la sua sacrosanta possibilità di deragliare da percorsi pure condivisi insieme, di inventarsi e rivelare soluzioni impensate; la nostra difficoltà nel fare un passo indietro e nel riconoscere negli ospiti una “competenza” forte sulla loro vita, la necessità di creare insieme e continuamente ricreare uno “spazio competente” ricco di una progettazione che sia il più possibile sistemica e il meno possibile lineare e che si svuoti progressivamente della nostra presenza spesso ingombrante; il non piangerci addosso in questi tempi di “vacche magre”, che chiedono uno scatto alla nostra fantasia e creatività pere guardare oltre i percorsi tradizionali ormai asfittici di tirocini e borse lavoro che non ci sono più.

Ci ritroviamo oggi in questo Convegno più allargato, per offrire ai presenti queste nostre riflessioni e ascoltare da rappresentanti di associazioni e reti di questo territorio, di altri Sud e di respiro nazionale quanto stanno sperimentando nei loro differenti approcci e punti di vista per accompagnare il presente e il futuro di chi fa fatica – e senza il forse la fatica è soprattutto nostra – a pensarsi e a collocarsi in un presente e in un futuro di “progressiva umanizzazione”.

Grazie per essere qui e buon lavoro.

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