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No al potere dei sindaci di definire le zone per la prostituzione

Occorrono norme più specifiche e severe rispetto allo sfruttamento della prostituzione. Un no deciso, poi, alla proposta di attribuire ai sindaci il potere di estendere o meno le zone in cui è lecita la prostituzione.

Non solo: dal momento che è molto difficile stabilire la maggiore età delle ragazze e dei ragazzi che si prostituiscono, l’articolo 2 del ddl rischia di essere impossibile da mettere in pratica. A chiedere di rivedere ed emendare alcuni articoli del disegno di legge sulla prostituzione in discussione da domani al Consiglio dei Ministri, è il “Coordinamento e osservatorio delle Unità di strada/Unità mobili nell’ambito della prostituzione”, organismo nato dall’associazione On the road e dal Cnca, che raccoglie organizzazioni da anni impegnate nella riduzione del danno e a favore delle persone che si prostituiscono. L’obiettivo del Coordinamento, che ha inviato una lettera indirizzata ai ministri Amato, Ferrero, Pollastrini, Mastella e Bindy, è infatti quello di offrire il punto di vista di chi opera direttamente sul campo.
Secondo le associazioni, la nuova normativa in tema di “prostituzione coattiva” parte dall’intenzione di modificare la norma contenuta nella legge Merlin, senza tuttavia apportare elementi decisivi che possano garantire una miglior tutela alle vittime. Per quanto riguarda il potere ai Sindaci sulle zone in cui estendere il divieto di prostituzione, il Coordinamento esprime invece la propria “preoccupazione e contrarietà”, già sollevata in occasione della riunione dell’Osservatorio sulla prostituzione del Ministero dell’Interno. Contrarietà espressa anche in una mozione, messa a punto durante i lavori del recente convegno “Strada Facendo”, da oltre 1300 operatrici e operatori sociali del privato e del pubblico impegnati nel settore che chiedono, tutti insieme, addirittura l’eliminazione dell’art. 9 dal disegno di legge. “La presunzione assoluta della conoscenza dell’età della persona che si prostituisce – sottolinea inoltre il Coordinamento – appare di scarsa applicabilità pratica, poiché è difficilmente comprovabile. Non soltanto, quindi, si prefigurerebbero forti dubbi di legittimità costituzionale, ma si aprirebbero rischiosi spiragli a un’applicazione eccessivamente discrezionale della norma. Nel caso in cui questa previsione sia però ritenuta necessaria, proponiamo di prevedere il limite di 14 anni, rendendo peraltro la normativa più omogenea a quella vigente in tema di violenza sessuale”.
Soddisfazione, invece, per l’istituzione del Fondo nazionale previsto al comma 3 del ddl, anche se il Coordinamento parla di “un’incongruenza nella sua denominazione rispetto alle finalità dell’utilizzo del Fondo stesso”. Secondo il disegno di legge, infatti, il Fondo dovrebbe servire per interventi legati all’integrazione sociale delle persone che si prostituiscono o manifestano la volontà di uscire dalla strada, organizzando programmi di formazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro. Non ci sono riferimenti, dunque, alla sola tratta o alla prostituzione coatta: “l’esperienza di strada ci insegna – precisa il Coordinamento – che se vi fosse un fondo per il reinserimento, allargato a tutte le persone che esercitano la prostituzione e spesso in condizione di marginalità e vulnerabilità, molte sarebbero le persone, anche non coinvolte nello sfruttamento e nella tratta, ad abbandonare la strada per attività alternative”. La proposta, quindi, è di denominare più correttamente il Fondo in “Fondo nazionale per gli interventi sociali nella prostituzione”.

(Fonte: Redattore Sociale)

CNCA
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