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La proposta di affido internazionale è un mostro giuridico

Discussione al Senato sul testo messo a punto dal ministro Prestigiacomo. Un’ipotesi da “colonialismo affettivo”

 

ROMA – Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) considera mostruosa, dal punto di vista giuridico, la possibilità che si vorrebbe offrire alle famiglie italiane di accogliere in affido temporaneo (massimo un anno) bambini orfani provenienti da altri paesi. Tale possibilità è contenuta nella proposta di legge di iniziativa del ministro Prestigiacomo, attualmente in discussione al Senato, che prevede l’introduzione nell’ordinamento italiano dell’affido internazionale.
Se, infatti, si fa riferimento a bambine e bambini orfani che si trovano in situazione di “abbandono”, per tali casi è già prevista la possibile dichiarazione di adottabilità che ha un percorso definito e non sovrapponibile né sommabile a quello dell’affido.
Se, invece, ci riferiamo a bambini orfani, ma che conservano dei legami familiari e/o parentali, si aprirebbe per loro la possibilità dell’affido temporaneo.
Le caratteristiche dell’affido – è bene ricordarlo nella discussione in corso – sono: la temporaneità, il mantenimento delle relazioni con la “famiglia” d’origine e il contesto, il rientro certo nel proprio nucleo. Ora, come sia possibile tutto questo per una bambina o un bambino “strappato” dal proprio paese, dai propri affetti, dalle sue relazioni significative proprio non ci è dato di sapere.
Ci sembra che tale proposta configuri un vero e proprio “colonialismo affettivo”, una specie di retropensiero che ci fa credere ad una incapacità e impossibilità delle istituzioni e delle organizzazioni sociali e familiari del paese d’origine di offrire risposte adeguate al bisogno di felicità, di tenerezza e di appartenenza ai propri bambini. Se, dunque, “loro” del Sud del mondo non sono in grado di voler bene, ci pensiamo noi, occidentali ed evoluti. Come si faceva in Italia sino a qualche anno fa, quando la povertà si trasformava anche in giudizio sulla incapacità educativa ed affettiva.
Ma, al di là e oltre la cultura colonialista che ancora ci caratterizza: come la mettiamo con il problema del mantenimento dei rapporti, del reinserimento nel proprio contesto, dello sradicamento inevitabile che peserà per sempre nella storia personale di questi bambini aggravato da problemi di lingua, costumi e abitudini molto diverse? E con la costruzione della positiva appartenenza a due famiglie che caratterizza molti affidi, con il nuovo strappo (il secondo in solo un anno) rappresentato dal rientro in patria proprio quando si andava profilando una forma signficativa di attaccamento?
Azzardiamo una prospettiva ancora più inquietante: forse qualcuno vuole favorire, dopo l’anno di immersione nella grande pancia dell'”affetto occidentale”, il passaggio diretto all’adozione internazionale considerando il tempo appena passato come affido pre-adottivo? Chi e cosa garantisce che non sarà così e che non abbiamo individuato un’altra forma, questa volta legale, di trafficare bambini?
Da anni, congiuntamente ad altre organizzazioni nazionali, sosteniamo, inascoltati, l’esigenza di praticare la strada delle adozioni a distanza, della elaborazione di progetti dell’Unione Europea, la riduzione del debito per sostenere la genitorialità, l’accoglienza familiare, la nascita di comunità familiari nei paesi d’origine.
Perché non promuoviamo la nascita nei paesi del Sud del mondo di associazioni che si facciano carico della tutela dei diritti dell’infanzia?
Ci sembrano forme molto più mature di aiuto e accompagnamento, molto più rispettose della persona, molto più in sintonia con il diritto di ogni bimbo a vivere nella sua famiglia e territorio d’origine.
Quanto proposto ha invece veste d’agnello e voce da lupo e noi ci sentiamo ancora schierati con la nonna e con Cappucetto Rosso.

Roma, 14 aprile 2005

CNCA
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