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La mossa del cavallo 2018

Giovani e futuri immaginati. Quando l’innovazione è sociale.

Ogni tanto sentiamo il bisogno di fermarci, osservare il paesaggio e provare a capire dove siamo e dove stiamo andando.

Uno di questi momenti è La mossa del cavallo: anche quest’anno 1il gruppo Giovani Politiche ha organizzato un incontro per provare a tracciare nuove traiettorie. Perché anche se sembra il pezzo più debole della scacchiera, la mossa del cavallo spiazza il gioco…E nonostante le fitte nevicate che il 23 febbraio hanno ricoperto il Nord Italia, oltre 40 operatori si sono incontrati presso lo Spazio Eco di Casalecchio (BO). Lavorare con i giovani significa facilitarne la transizione alla vita adulta, ma come possiamo tradurre questa “transizione” in una società che sembra vivere un eterno presente e che ha escluso dalla propria narrazione l’idea del  tempo che scorre? In un tempo in cui qualcuno parla apertamente di un “vero e proprio giovanicidio economico, sociale e simbolico”, siamo chiamati a costruire una prospettiva divergente, a far spazio ogni giorno all’inedito, conviti  che dando fiducia ai giovani rendiamo migliori le comunità che abitiamo.

Oggi dobbiamo affrontare questioni che riguardano tutti i giovani: stiamo parlando del ruolo dei giovani nella società: non è prioritariamente una questione educativa, ma intreccia molti ambiti a noi lontanissimi. Con Luca Barbieri, giornalista ed esperto di imprenditorialità e innovazione, abbiamo allora ragionato di ecosistemi generativi, ripartendo dalla necessità di contaminazioni. Siamo ormai nella quarta rivoluzione industriale (caratterizzata dalla capacità delle macchine di autoapprendere): il mondo sta accelerando, si stima che il 65% dei bambini svolgerà un lavoro che oggi non esiste (metà dei lavori attuali rischia di essere svolto esclusivamente dalle macchine). Come sostiene William Gibson, “Il futuro è già qui, solo che non è uniformemente distribuito“: c’è un problema di distribuzione equa del futuro.

Oggi l’innovazione o è sociale o non è innovazione; siamo alle soglie di una fusione tra umanesimo e cultura digitale: le skills maggiormente richieste saranno creatività, competenze emotive, capacità intellettuale di generare un’idea, prototiparla e realizzarla, capacità di lavorare in team…Dobbiamo spostare l’attenzione dall’imprenditorialità all’imprenditività (atteggiamento attivo e partecipato). L’innovazione non sta nelle idee (le idee valgono poco…), la parola chiave è condivisione: le idee crescono bene solo se condivise! Abbiamo quindi bisogno di sviluppare ecosistemi generativi.

Con Vincenza Pellegrino (antropologa, docente di sociologia della globalizzazione presso l’Università di Parma) 2siamo tornati allora a guardare alle nostre comunità e a come rileggere la nostra funzione educativa. Se osserviamo i territori ci rendiamo conto di quanto oggi lo sguardo sul futuro sia a corto respiro. Per secoli abbiamo convissuto con una proiezione della felicità in un futuro che dovrà realizzarsi (prima il paradigma religioso con l’attesa del paradiso e poi quello scientifico che rimandava al progresso la soluzione dei problemi del mondo), oggi la prospettiva sul futuro è pessimistica e quindi non ci resta che aggrapparci al presente (educativamente questo si traduce in “vogliamoci bene tra di noi e di futuro non ne parliamo”). Questo atteggiamento sta producendo una “stasi frenica”, un continuo correre per rimanere fermi… Oggi si sceglie la scorciatoia del “probabile” anziché puntare sul possibile: anche i cambiamenti tecnologici sono di fatto un continuo upgrade del presente.

Il futuro è centrale nella pratica educativa, 4dobbiamo ammettere che abbiamo perso il futuro, curarci dal dolore della perdita e tornare a occuparci del futuro come prodotto culturale (il present future). Questo significa rimettere al centro futuri desiderabili: educare al possibile, alle aspirazioni e non limitarsi al probabile (a differenza dell’ambizione, che è individuale, l’aspirazione include un pensiero collettivo, uno sguardo su un mondo trasformabile). Dobbiamo promuovere una fusione innovativa dei saperi e lasciare che tale fusione contamini le pratiche educative. L’adulto è lì perché si prende la responsabilità di stare negli spazi, rendendoli palestre di autonomia e di fiducia. Ci sono margini di responsabilità che non stiamo usando: il possibile ha bisogno di una cura specifica. Quanto umano stiamo portando nella relazione educativa?

Stefano Benni ha scritto “Se i tempi non richiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi”, questo è forse il sottotesto di questa edizione de “La mossa del cavallo”, perché c’è sempre spazio per inventare uno scenario differente (inventare significa immaginare e costruire) e perché la vera scommessa è che ciascuno di noi metta in gioco sempre il meglio di se!

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