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C’era una volta la messa alla prova

L’11 maggio scorso il CNCA e l’Istituto don Calabria hanno organizzato un seminario intitolato “C’era una volta la messa alla prova” per fare il punto su questo importante istituto.

Pubblichiamo qui sotto una nota sull’evento.

C’era Una Volta La Messa Alla Prova… almeno per come siamo abituati a conoscerla. Uno strumento giuridico che ricalca in pieno le caratteristiche di un progetto educativo. Un istituto flessibile, creativo, calato sui bisogni e sulla realtà dei giovani autori di reato. Frutto più prezioso di una legge eccezionale che, a 35 anni dalla nascita, continua a sfidare gli operatori a tenere alto il livello dell’intervento.

Negli ultimi due anni stiamo assistendo con preoccupazione a un drastico abbassamento nelle richieste che vengono fatte ai giovani autori di reato. Tanto nei servizi ministeriali quanto nella magistratura minorile ci sembra di cogliere una propensione ad accontentarsi di micro-cambiamenti, talvolta poco percepibili e marginali. Le messe alla prova hanno esito positivo nella quasi totalità dei casi, ed è un dato in aumento, a dispetto dell’osservazione degli operatori, che sempre più frequentemente restano interdetti dall’esito di percorsi rieducativi che vengono considerati positivamente contro ogni evidenza.

Talvolta il fatto di essere meno esigenti ci viene giustificato con una maggiore gravità dello stato di salute mentale dei giovani autori di reato. È davvero così? Sono davvero i minorenni o invece gli adulti a non riuscire a tenere alta l’asticella della misura penale?

Altro punto che sta mettendo a rischio la qualità della Giustizia minorile, almeno in alcune regioni, è la rapida riduzione di disponibilità da parte delle comunità educative ad accogliere minorenni autori di reato. In Lombardia il fenomeno è legato anche al fatto che molte strutture “storiche” hanno chiuso i battenti a causa della drastica mancanza di educatori. Ma ci sono anche molte comunità che hanno deciso di non accogliere più giovani in misura penale (o ridurne fortemente il numero) a causa della ridotta sintonia di lavoro con gli altri attori protagonisti della vicenda penale. Pensiamo a comunità che hanno chiesto di poter allontanare un giovane per la commissione di fatti gravi o gravissimi, e che si sono viste intimare da parte della procura minorile di non farlo, anche per molti mesi, con risultati drammatici per tutti gli ospiti della comunità e per gli educatori. Oltreché per la credibilità delle misure penali: se si può fare qualsiasi cosa senza conseguenze, qual è il senso della misura penale?

Abbiamo deciso di riunirci in seminario per discutere tra colleghi – CNCA e Don Calabria – quanto sopra; capire se siano fenomeni osservati a livello nazionale (tra i partecipanti ci sono operatori di otto regioni), e immaginare possibili correttivi, da condividere in un secondo seminario (in autunno?) con la presenza di magistratura e Dipartimento per la giustizia minorile.

I partecipanti sono stati perciò suddivisi in tre sottogruppi. I sottogruppi si sono confrontati su due assunti:

  1. è vero che la messa alla prova è interpretata al ribasso? Perché?
  2. è vero che le comunità stanno arretrando nella accoglienza di autori di reato? Perché?
CNCA
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