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Cinque domande a “Repubblica” dopo l’articolo sulle comunità per minori

Ancora reazioni all’articolo del quotidiano. Tre lettere al direttore con cifre e chiari argomenti di protesta.

Riportiamo di seguito le lettere scritte al quotidiano, inviate da Liviana Marelli (coordinatrice dell’area infanzia, adolescenza e famiglie del Cnca), Enrico Palmerini (già Vice Presidente del CNCA) e Marco Bellavitis (presidente dela cooperativa sociale L’accoglienza di Roma) e il servizio apparso su “Avvenire”, il 7 maggio, in cui viene citata ampiamente proprio Marelli.

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Egregio Direttore,

sono un’assidua lettrice del quotidiano che Lei dirige. Continuerò ad esserlo nonostante il profondo sdegno e l’indignazione che ho provato leggendo l’articolo apparso su “LA REPUBBLICA” – venerdì 29 aprile u.s a firma di Paolo Berizzi.

Sono presidente della cooperativa sociale “La Grande Casa” di Sesto San Giovanni che da più di 20 anni accompagna ed accoglie persone fragili, vulnerabili, in difficoltà, emarginate: bambini e bambine, ragazzi e ragazzi , donne maltrattate con i propri figli, vittime di tratta, richiedenti asilo e rifugiati politici…

Da più di 20 anni camminiamo con loro, stando al loro fianco e pretendendo ad alta voce il rispetto dei loro diritti, costruendo relazioni, accompagnando futuro nonostante questa nostro Paese sia sempre più incapace di costruire cittadinanza, uguaglianza e pari opportunità.

Nella mia Cooperativa ci sono circa 220 operatori (educatori professionali, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali, operatori amministrativi) che quotidianamente si preoccupano, hanno cura, si spendono umanamente e professionalmente per le persone che accompagnano e accolgono..

E vanno sempre molto al di là del “tempo lavoro” contrattualmente previsto! perché al centro del loro operato professionale c’è sempre e comunque l’attenzione al singolo, ai suoi tempi di crescita, ai suoi bisogni..

dunque di queste persone stiamo parlando, e non è proprio tollerabile che vengano ingiuriate, infamate, come il suo redattore ha fatto, credo debbano essere presentate le scuse. Prima di tutto ai bambini e ai ragazzi che abitano le nostre comunità, alle loro famiglie d’origine – che ci sono e continuano spesso ad esserci nella vita dei nostri bambini e dei nostri ragazzi! – e a coloro che quotidianamente con passione e competenza accompagnano storie, volti, sguardi .

Sto parlando degli educatori, ma anche delle famiglie – le tante famiglie – che abitano le comunità familiari!

Sono anche la referente nazionale CNCA per le politiche minorili e della famiglia. la mia Cooperativa è una delle circa 260 Organizzazioni che fanno parte del CNCA e che sono presenti in tutta Italia.

Per questa ragione le allego il COMUNICATO STAMPA che come CNCA abbiamo diffuso già la sera del 29 aprile.

Glielo invio nuovamente perché non ne ho trovata traccia sul quotidiano che lei dirige.

Così come non abbiamo trovato disponibilità da parte del suo collaboratore Paolo Berizzi ad una interlocuzione seria su questi temi, nonostante la richiesta fatta nella serata del 29 aprile u.s.

Non ripeto dunque i contenuti del comunicato stampa CNCA, che ovviamente condivido.

Mi permetto però di rubarle un metodo che il suo quotidiano ha usato per arrivare alla verità delle cose: quello di porre delle domande e di attendere risposte.

Le domande che le pongo sono le seguenti:

Lei e i suoi collaboratori avete conoscenza dell’ampia documentazione che è stata prodotta in riferimento alla tutela dei diritti dei minori? per citarne solo alcuni mi riferisco al report CRC sull’attuazione in Italia della Convenzione di New York, ai documenti dell’Osservatorio nazionale Infanzia e Adolescenza, alle ricerche dell’istituto degli Innocenti di Firenze, alle elaborazioni del CNCA… penso che una buona inchiesta giornalistica debba conoscere, diversamente si tratta di scoop o di ideologia.

– Lei e i suoi collaboratori avete letto l’ultimo rapporto sui minori fuori dalla famiglia prodotto dall’istituto degli Innocenti di Firenze? è un documento pubblico e riporta i dati corretti dei minori inseriti in comunità o in affido familiare al 31.12.2008. Se l’estensore dell’articolo avesse avuto la necessaria attenzione professionale avrebbe evitato di sparare numeri a caso, facendo la figura dell’incompetente. E questo non fa onore al suo giornale.

Lei e i suoi collaboratori conoscete i livelli stipendiali dei contratti degli “operatori sociali”? nella mia cooperativa applichiamo regolarmente il CCNL delle “cooperative sociali” e il mio stipendio netto mensile è di circa 1.400 € al mese, gli educatori professionali (laureati, con un lavoro su turni anche notturni!) hanno uno stipendio mensile di €. 1.100/1.200. E’ questo il business di cui si parla?

– Lei e i suoi collaboratori dovreste sapere che la trasparenza di flussi economici che regolano i rapporti tra la pubblica Amministrazione – ente titolare della competenza relativamente alla presa in carico dei minori e dunque dello stesso progetto di inserimento in comunità – e la Cooperativa sociale che accoglie è documentata e documentabile da regolari fatturazioni, corredate da pezze giustificative visionabili in qualunque momento dall’ente pubblico. Inoltre, in alcune regioni italiane, le Cooperative sociali hanno l’obbligo della redazione annuale del “bilancio sociale” che rappresenta, come noto, un documento pubblico e consultabile da chiunque. La mia cooperativa da anni redige il bilancio sociale, il nostro bilancio CEE è certificato da una Società di revisione e dal Collegio sindacale. Invio spontaneamente il bilancio sociale della mia cooperativa a tutti i soggetti con cui si opera e a tutti coloro che lo desiderano.

Posso inviarlo anche a lei, se lo desidera

L’estensore dell’articolo lascia intendere situazioni di sfruttamento dei minori a scopo di lucro. No non conosciamo situazioni di questo genere. Diversamente non avremmo avuto alcuna esitazione a percorrere la strada della denuncia perché lo sfruttamento di minori è un reato penalmente perseguibile. La invitiamo quindi – qualora abbia consapevolezza di situazioni con queste caratteristiche – a presentare regolare e formale denuncia alla preposta Autorità Giudiziaria. Le assicuro che saremo al suo fianco!

Mi fermo qui con le domande, ma voglio concludere riformulandole l’invito già presente nel comunicato stampa del CNCA a venirci a trovare. scelga lei quando e dove: ci sono comunità del CNCA in tutta Italia. la ospiteremo volentieri. Allora scoprirà che le nostre comunità sono case tra case, case che abitano la quotidianità dei nostri paesi, dei nostri quartieri… come le normali famiglie.

Scoprirà che i nostri bambini e i nostri ragazzi vanno e vengono dalla comunità, come i figli di una famiglia… vanno a scuola, all’oratorio, in piscina, agli scout, alla scuola di danza, fanno calcio, atletica, basket..vanno anche i discoteca (i più grandi!…). Vanno in vacanza, in campeggio, in villaggio turistico, in altre case..vanno insieme agli altri. Forse li ha incontrati e non se ne è accorto, perché fanno una vita di normalità.

Le nostre comunità non sono lager, ma sono spazi aperti dove i nostri bambini e ragazzi accolgono gli amici grandi e piccoli, dove si fa festa ai compleanni e tutte le volte che c’è un’occasione per fare festa. come nelle famiglie. I nostri ragazzi vanno a casa degli amici a fare i compiti, a giocare, a cenare… come i nostri figli.

Venga a trovarci.

Scoprirà un mondo di persone straordinarie … che nella normalità di tutti i giorni si mettono continuamente in gioco personalmente e professionalmente per dare voce e fare strada ai piccoli della comunità nel tentativo – spesso agito in solitudine e in una intollerabile situazione di disinvestimento culturale ed economico che oggi caratterizza il sistema di welfare in Italia – di creare opportunità, di accompagnare futuro per loro.

Troverà un mondo di persone che – fuori da ogni enfasi – restituiscono dignità a questo nostro Paese perché concretamente percorrono la strada della legalità, della solidarietà, dell’accoglienza, della pace e dell’intercultura … e lo fanno perché lo avvertono come dovere di cittadini e di professionisti.

Noi l’aspettiamo Direttore! sarà per noi un onore accoglierla e lei sarà per noi un amico in più.

Grazie per l’ascolto. Rimango in attesa di risposta e le invio i miei più cordiali saluti.

Liviana Marelli


Scarica il servizio sulle comunità per minori apparso su “Avvenire” il 7 maggio, in cui è citata ampiamente Liviana Marelli.

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Eg. Direttore,
sono un volontario che da più di 50 anni si occupa di sociale. Negli ultimi anni, oltre essere il presidente dell’Associazione Progetto Arcobaleno di Firenze, ho avuto anche il ruolo di vicepresidente del CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità d’Accoglienza). In questo ruolo ho avuto modo di conoscere molte realtà e gruppi che in Italia si occupano di minori ed in particolare con lo strumento delle “Case Famiglia”. Per questo mi sento in dovere di intervenire dopo aver letto l’articolo di venerdì scorso sul Suo giornale.
Vede , Direttore, mi sono chiesto: perché intervenire? Altre volte ci hanno attaccato, diffamato, deriso. Quando ci battevamo per il riconoscimento dei diritti e della dignità delle persone tossicodipendenti, per i senza dimora, per i malati di mente, per gli immigrati, per i malati AIDS, per le vittime della tratta, per i carcerati, per i fragili, per i marginali. Siamo abituati a sentirci ultimi nella nostra prossimità con gli ultimi. Ma proprio per questo nostro non arrenderci mai, questo orgoglio che ci viene da metterci sempre la faccia in quello che facciamo, non possiamo tacere quando si discredita, si vilipende con superficialità generica il lavoro, la professionalità, la correttezza e la dignità di tanti che a titolo diverso (operatori, educatori, professionisti di varie specializzazioni, volontari, famiglie, cittadini) si dedicano quotidianamente ad accompagnare persone verso la propria crescita, la propria autonomia.
Certo, potremmo far finta di niente. Dire che quello che è stato detto non ci riguarda. Non è di noi che si parla. Ma il riferimento generico allo strumento senza distinguo, senza aver dato elementi di giudizio, ma solo giudizi, non può che riguardarci.
Sappiamo anche di non avere voce. Nei dibattiti pubblici si chiamano persone che abbiano presenza più che competenza. Chi è in “strada” tutti i giorni non ha rappresentanza né chi c’è per scelta professionale né chi c’è per condizione sociale. E ci sembra inutile anche reclamarla. Il mondo dei media ha le sue leggi ed è organico al mercato che del resto lo fa vivere. Ma questa risposta mi dà modo di poter parlare contemporaneamente ai miei colleghi e potergli dire: coraggio, noi resistiamo! Perché lo dobbiamo soprattutto alle persone che si rivolgono a noi perché non hanno che le nostre risposte, scarse, approssimative alle volte, ma sempre ricche di relazioni e di passione che vanno oltre una retta che spesso non copre neanche l’indispensabile.
Noi sappiamo che il mondo che rappresentiamo in questo momento è particolarmente sotto attacco. Schiacciati da una parte dalla paura del diverso, artificiosamente alimentata per allontanare l’attenzione dall’incapacità della politica di essere interprete dei bisogni della gente; dall’altra da una enfatizzazione del volontariato come soluzione a basso costo dei bisogni sociali (quello che non riusciamo a risolvere con l’assistenzialismo lo penalizziamo e lo mettiamo in carcere: negli ultimi 4 anni la popolazione carceraria è aumentata di circa 30.000 unità contro le 3.000 dei dieci anni precedenti). Non ultima la scarsa considerazione del lavoro sociale, visto come onere inutile e costoso, spesso autoreferenziale da valutare con diffidenza e sospetto.
Come vede Direttore, il mio sfogo è proprio più accalorato perché scrivo a Lei, Direttore di quel quotidiano che è ancora oggi è il più letto nel nostro mondo e per questo ancora più doloroso mi sembra, doverne constatare la omologazione al ” buon senso comune”.
Con la serenità di sempre, suo
Enrico Palmerini
Firenze, 2/05/2011
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Egregio Direttore,

le scrivo con non poca fatica dopo aver letto diverse volte l’articolo di cui all’oggetto a firma di Paolo Berizzi che di certo non fa onore al suo giornale.

L’articolo contiene numerosi luoghi comuni, macroscopici errori, e accuse infamanti e gratuite a tutto il sistema delle accoglienze. Da ultimo l’articolo si chiude con 2 storie che nella loro povertà e tristezza vengono inserite solo per il gusto di generalizzare, esattamente il contrario di ciò che un buon giornalista dovrebbe fare.

Sono il rappresentante legale di una cooperativa di Roma che gestisce diversi servizi socio-assistenziali fra cui 4 case famiglia (3 per bambini ed una per gestanti o donne con bambini). La nostra realtà è stata avviata oltre 18 anni fa grazie alla disponibiltà di una famiglia che ha deciso di aprire la propria casa all’accoglienza.

In questi 18 anni sono passati dalle strutture di accoglienza circa 120 bambini con una durata media di accoglienza di 1 anno e mezzo.

Come la nostra realtà conosco moltissime case-famiglia che ogni giorno lavorano sodo per garantire ai bambini ospiti un’accoglienza che sia il più vicino possibile a quella di una famiglia, nell’attesa che essi possano tornare nella loro famiglia d’origine, oppure andare in affidamento o in adozione.

Se il suo giornalista si fosse documentato meglio andando a visitare una delle tante case famigilia di Roma o d’Italia avrebbe potuto constatare di persona come funzionano queste case.

Nelle nostre case i bambini fanno una vita normale: vanno a scuola, all’uscita fanno attività sportiva o vanno agli scout, poi fanno i compiti, il bagnetto, la cena. Il sabato o la domenica si va a fare qualche gita, oppure ci si vede con i compagni di classe. A prendersi cura di loro ci sono persone che hanno deciso di dedicare la loro vita a questo compito. Alcune famiglie, alcune religiose o religiosi. Per molti è un lavoro: si chiamano educatori professionali. Al pari dei giornalisti hanno studiato per fare questo lavoro, ma lo studio non è sufficiente: è necessaria la passione, l’amore, l’impegno. Il tutto per 1.100,00 euro netti al mese. In molte cooperative a causa dei ritardi dei pagamenti delle rette da parte degli enti pubblici, non sempre è possibile pagare puntualmente gli stipendi ma gli educatori lavorano lo stesso !

Ovviamente i 1.100,00 euro al mese costituiscono per l’ente gestore solo la metà del costo del lavoro che è necessario sostenere. Il costo lordo aziendale annuale di un educatore professionale è di circa 28.000,00 euro. Per una casa famiglia di 6 bambini è necessario avere almeno 4 educatori turnanti che garantiscano la presenza costante durante tutta la settimana, il sabato, la domenia e la notte (quello che in famiglia fanno i genitori). Le spese del personale prevedono inoltre lo stipendio part-time di un responsabile (di solito Assistente sociale o Psicologo o Educatore con molta esperienza), le spese per la supervisione necessaria per tutti color che svolgono una relazione di aiuto così delicata. Oltre alle spese del personale ci sono le spese dell’affitto, del vitto, del vestiario, dello sport, le assicurazioni, le spese per i trasporti, le vacanze. Con la retta giornaliera di euro 69,75 che è prevista a Roma chi amministra le case famiglia deve coprire tutte le spese. Anche tutti questi dettagli sarebbe stato molto semplice acquisire per il suo giornalista se avesse fatto bene il suo lavoro. Sono a disposizione per inviarvi il materiale (si chiama piano economico-finanziario della struttura di accoglienza, che ogni struttura è tenuta ad inviare al Comune per ottenere l’autorizzazione al funzionamento): è previsto un controllo quindi da parte del Servizio sociale competente territoralmente, al contrario di quanto affermato nell’articolo.

Non si vuol qui affermare che il mondo delle case famiglia è tutto perfetto ma generalizzare in modo così superficiale e assolutamente poco informato è davvero deludente.

Altri errori macroscopici contenuti nell’articolo sono relativi ai numeri “sparati a caso” dal vostro giornalista: i minori accolti in comunità residenziali sono poco più di 15.000 e non 20.000 come affermato. Inoltre l’articolo lascia trasparire che quasi tutti sarebbero in attesa di adozione e ciò è assolutamente infondato. Le allego in proposito un report redatto dall’Istituto degli Innocenti che anche il suo giornalista avrebbe potuto reperire molto facilmente chiedendolo.

Le rette di accoglienza sono diversificate in funzione del progetto individuale previsto per il bambino: la cifra di 120,00 euro si raggiunge a Roma solo nei casi di disabilità grave che presuppone un più alto rapporto educatori/bambino.

Insomma una brutta pagina di giornalismo, in un periodo in cui ci sarebbe molto più bisogno di informazione seria sulla possibilità di aprirsi concretamente a gesti di solidarietà, di accoglienza familiare, di buon vicinato, per poter prevenire situazioni che – nel silenzio egoistico di ciascuno di noi – rischiano di degenerare ed arrivare al punto da far intervenire i servizi sociali per le separazioni dei bambini dalle famiglie.

Eppure Roma e l’Italia è piena di tante storie belle, positive di accoglienza, di affidamento familiare, di ragazzi che cresciuti per un periodo in casa famiglia oggi sono perfettamente re-inseriti nel tessuto sociale, hanno una famiglia propria.

Perchè non raccontare queste storie?

O almeno, se si preferisce (per un perverso gusto italico a preferire la demolizione) raccontare quelle che vanno male la prossima volta la prego di affidare il compito ad un giornalista maggiormente preparato che sappia documentarsi, che non faccia di tutta l’erba un fascio, che non generalizzi, che insomma sia degno di questa professione.

Le chiedo a tale proposito la disponibilità ad inviarci un suo cronista che possa visitare le nostre realtà e rendersi conto di persona di quello che le ho scritto.

In attesa di un suo riscontro, porgo cordiali saluti.

Marco Bellavitis

CNCA
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