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Solo il 26% dei disabili è occupato. E il 62% di essi non è soddisfatto

“Solo il 26% dei disabili è occupato e fra questi il 62% ritiene insoddisfacenti le condizioni e l’ambiente di lavoro, la sicurezza. Invece i disabili dovrebbero essere sempre più protagonisti della lotta per i loro diritti”.

 

Al convegno promosso il 27 e 28 ottobre dalla Fondazione Di Liegro e dal Cnca presso il Teatro Argentina sul tema “La città diversamente abitabile”, la segretaria generale della Fondazione, Luigina Di Liegro, ha ricordato alcuni dati sulla discriminazione dei disabili; nel Lazio gli studenti con handicap sono circa 18mila, e per loro è stato attivato il progetto “Famiglie in rete”: una “connessione solidale verso nuclei con un figlio con disturbi psichici”.

Il progetto intende costruire un supporto attivo mettendo in campo “una famiglia alternativa” che offrirà “la semplice, ma necessaria compagnia al ragazzo nell’andare con lui, se non arrivare a un vero e proprio affido”. In particolare, a Torino, Trieste e Treviso si sono create delle reti di solidarietà con il coinvolgimento dei cittadini con l’obiettivo di inserire ragazzi con patologie psichiatriche, in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale che li segue. Nel Lazio il piano prevede la creazione di un’associazione di sostegno ai famigliari di sofferenti con disagio psichico in età adolescenziale, in cura presso i Centri di salute mentale, composta da una serie di “famiglie di riserva” per i ragazzi; l’iniziativa – coordinata dalla responsabile, Giuseppina Bartolini Fossà, insieme alla Fondazione Di Liegro e all’Istituto internazionale Scienze mediche antropologiche (Iismas) – prevede un seminario di formazione per le potenziali “famiglie di riserva”, che dovrebbe concludersi con un periodo di partecipazione presso un Centro diurno.

Al convegno è intervenuta anche Ileana Argentin, delegata del Sindaco di Roma per l’handicap, che ha messo l’accento sul problema “delle barriere culturali, prima di quelle architettoniche: quelle del vivere comune, del rapportarsi con chi ti affianca con pari opportunità e diritti. Come il diritto alla mobilità, ad esempio; invece il parcheggio per disabili è visto come un privilegio, e ciò la dice lunga sui rapporti sociali. Si preferisce fare una donazione a Telethon per pulirsi la coscienza, piuttosto che confrontarsi con la convivenza sociale”. Purtroppo – ha osservato Argentin – “nei corsi di laurea in ingegneria o architettura non c’è un corso per imparare ad abbattere le barriere architettoniche: solo libri consigliati o corsi post laurea. Manca la formazione degli addetti su questi temi”. A favore dei disabili e dell’adeguamento della città, perché sia sempre più accessibile, il Comune di Roma – ha ricordato Argentin – ha speso lo scorso anno 10 miliardi di vecchie lire per le spese ordinarie e 20 miliardi per le spese straordinarie.

La legge 328? “È stata pensata in rapporto a chi fornisce i servizi, non a chi ne usufruisce”. Al convegno promosso dalla Fondazione Di Liegro presso il Teatro Argentina sul tema “La città diversamente abitabile”, don Vinicio Albanesi attacca la riforma sull’assistenza, “nata morta, che pensa agli operatori e alla ‘governance'”, proponendo “la personalizzazione degli interventi”, rinchiusi invece oggi in “gabbie, schemi entro i quali chi ha bisogno deve essere collocato. Altrimenti resta fuori”. “La 328 risolve una parte della disoccupazione intellettuale del nostro paese; penso a pedagogisti, psicologi, assistenti sociali, laureati in scienze umane: un’ondata infinita che trova collocazione nel sistema di 9 livelli creato dalla legge – ha proseguito don Albanesi -. Ma 9 livelli sono insopportabili, perché le situazioni si complicano per chi deve fruire dei servizi. In questo grave quadro si genera un’insopportabilità del welfare”. Il presidente della Comunità di Capodarco ha attaccato quindi le “gabbie di risposte rigide” pensate dal sistema di riforma dell’assistenza. In questo schema “il welfare intercetta il 10% dei bisogni e ne abbandona il 90% per mancanza di risorse”.

Ne consegue la necessità di interventi personalizzati: “Ciascuno ha la sua storia, la sua famiglia, la sua personalità”. Una strada da percorrere per reggere i costi; purtroppo però “l’intelligenza di chi ha elaborato programmi, nell’ambito della scienza sociale, non sta nella realtà: si complica quello che è semplice. Invece i servizi dovrebbero riuscire a intercettare la storia di ognuno”. Ci vuole, dunque, una “trattativa per andare dentro la storia di ciascuno e capire cosa necessita alla vita degli altri. La normalità va riportata in tutti i suoi aspetti. Non si possono mettere i disabili in contenitori o in riserve indiane, in manicomi o nella Valle dell’Eden – ha concluso don Vinicio –. Le risorse vanno trattate per rendere possibili interventi sui territori attraverso soluzioni personalizzate per risolvere i problemi”.

(Fonte: Redattore sociale)

CNCA
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