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”La direzione delle ASL va riconsegnata alla comunità locale’

Ha titolo il Presidente nazionale di una Federazione di organizzazioni del privato sociale per intervenire, senza essere stato chiamato in causa, nel dibattito aperto da Mario Pirani su “Repubblica” circa le modalità “politiche” che condizionano la nomina dei primari nelle aziende ospedaliere?

 

Pirani sostiene che nessun Governatore del centro sinistra si è fatto vivo e cita le lettere che gli hanno scritto l’assessore alla Sanità del Lazio Augusto Battaglia e Roberto Polillo, dirigente confederale della Cgil.

Io credo che il problema del condizionamento improprio della politica sulle scelte e le strategie che dovrebbero essere “aziendalistiche” delle Asl abbia inizio proprio nelle forme e nelle modalità previste per la nomina dei direttori generali e dei loro collaboratori, i direttori sociale, amministrativo e sanitario.

Già da anni si è determinato un blocco nelle liste di accesso dalle quali i Governatori “pescano” i dirigenti e al blocco è subentrata una verifica di appartenenza politica che si è resa sempre più pressante e non negata nemmeno dagli stessi interessati quando sugli organi di informazione ad ogni nome designato è abbinata la sua appartenenza al centro sinistra o al centro destra.

Quindi, se è così (e se ne hanno continuamente le prove anche ad una verifica della effetiva autonomia nelle scelte gestionali), il problema “sta nel manico”, cioè è il criterio di nomina dei direttori generali che va rivisto.

Bisogna avere il coraggio e l’onestà di riconoscere che il meccanismo a suo tempo individuato e impropriamente definito “aziendalizzazione” è oramai sotto il controllo diretto della politica e che il criterio principe che regola le nomine è la fedeltà alla appartenenza di schieramento.

Lo sanno bene anche i neo eletti governatori del centro sinistra e non è detto che non meditino di applicare anche loro la stessa regola alla prossima tornata di nomine.

È di tutta evidenza il fatto che, come dice il vecchio detto, “il pesce inizia a puzzare dalla testa”, quindi anche i primariati, a cascata, non possono che rispondere alla stessa logica perversa.

Che fare?

Noi pensiamo che il criterio vada ripensato alla radice e che le modalità di governance delle Aziende socio-sanitarie vadano riconsegnate alle autonomie locali recuperando spazi reali per una costruzione dal basso di welfare di comunità.

Siamo ad un tale livello di degenerazione che in molti cominciano e rimpiangere i vecchi comitati di gestione eletti secondo il classico Cencelli che almeno permetteva, oltre alla spartizione delle sedie, un meccanismo di controlli incrociati capaci di limitare in parte i danni.

Noi siamo tra coloro che ritengono che il sistema vada riformato e che la prima riforma necessaria sia quella di scorporare le Aziende Ospedaliere dalle Aziende socio-sanitarie di ambito territoriale, che andrebbero governate da società miste pubblico-privato profit, privato sociale, a maggioranza pubblica indicata dalle conferenze dei sindaci dell’ambito di riferimento.

Le Aziende ospedaliere potrebbero partecipare alla compagine sociale della società locale socio-sanitaria che dovrebbe avere una garanzia certa di finanziamento minima determinata sulla base di un insieme di criteri tra i quali il prevalente dovrebbe essere quello della cifra capitaria per abitante di ambito.

Riconsegneremo in questo modo alle comunità locali il governo dei servizi alla persona, garantiremo vicinanza ai bisogni dedi cittadini, potremmo ipotizzare forme di controllo moto più diretto sulla efficacia ed efficienza delle prestazioni, oltre ad assicurare reale integrazione socio-sanitaria riportando al territorio anche parte della sanità oggi quasi completamente circoscritta tra le mura dei presidi ospedalieri.

In relazione alla individuazione degli ambiti riteniamo strategico basarsi su criteri di omogeneità, su una attestazione di dimensioni ed estensioni che permettano effettivo controllo e gestione dal basso, su una corrispondenza con l’ambito della programmazione culturale, scolastica e ambientale.

E, per quanto riguarda più direttamente gli ospedali i criteri che Polillo propone per la individuazione e valutazione dei primari dovrebbe, a maggior ragione applicarsi per i Direttori generali prevedendo un automatismo tra mancato raggiungimento di obiettivi e impossibilità ad essere nominati.

Potrebbe essere utile introdurre anche una ipotesi di ineleggibilità dopo un numero certo di mandati.

La nostra non è l’unica proposta in campo, ve ne sono altre di possibili: cito a tal proposito gli approfondimenti elaborati dalla Fondazione Zancan di Padova.

Insomma il dibattito c’è: ne sembra estranea purtroppo soprattutto la politica nazionale e regionale alla quale qualsiasi cambiamento orientato a sottrarle spazi di potere per trasferirlo al sistema della partecipazione e della rappresentanza decentrata sembra risultare inviso e sospetto.

Lucio Babolin
Presidente CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza)

CNCA
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